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16/12/11

Durban, chiusura e fallimento



Qualche settimana fa avevamo scritto dell'apertura dei lavori alla conferenza di Durban, la tanto citata CO17, che quest'anno si è tenuta in Sud Africa. Domenica 11 dicembre si sono chiusi i lavori, con due giorni di proroga rispetto al programma iniziale. Ma dopo quindici giorni di discussioni e di confronto, i risultati hanno delusi non solo gli ambientalisti, ma anche coloro che si aspettavano un vero e proprio cambiamento dopo la conferenza. Vediamo nel dettaglio cos'è successo in questi giorni.

I presupposti sembravano dei migliori: raggiungere entro il 2015 gli accordi del protocollo di Kyoto, aiutare i paesi più vulnerabili, ridurre le emissioni di CO2 in particolare dai paesi più industrializzati, stabilire degli accordi per quanto riguarda il Fondo Verde per il Clima. Alcuni di questi punti sono stati affrontati in modo molto superficiale, nonostante l'urgenza che era stata chiesta dagli ambientalisti e dai paesi più in difficoltà.

Per quanto riguarda il protocollo di Kyoto, è stato creato un protocollo 2 di Kyoto in cui non prenderanno parte Stati Uniti, Brasile, India e Cina. Nel nuovo protocollo si dovranno raggiungere nuovi accordi entro il 2015 che saranno attuati addirittura nel 2020. Anche se da quest'accordo mancavano ancora le adesioni di paesi come il Canada, il Giappone e la Russia. Proprio in questi ultimi giorni, il Canada ha annunciato il ritiro dal protocollo per alcuni ritardi nella presentazione dell'adesione alle condizioni dei nuovi accordi. Quindi tutto il nord-america si trova fuori dal nuovo protocollo di Kyoto.

Le poche certezze si hanno avuto per quanto riguarda il fondo monetario comune, in cui si è stabilito che i paesi che hanno sottoscritto l'accordo, verseranno 100mila dollari ogni anno fino al 2020. Ma oltre questo il nulla.

In molti hanno definito questi quindici giorni come un completo fallimento, in cui non è uscita nessuna certezza. Né riguardo i paesi più poveri e più soggetti ai cambiamenti climatici, né riguardo le emissioni di CO2. Si sono creati solo ipotetici accordi a lungo termine e gli ambientalisti si chiedono, cosa possa succedere nel frattempo.

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